36° settimana: CHILDHOOD/INFANZIA
Mi blocco davanti a un cartellone pubblicitario. Lei mi sta guardando; sorride, sembra contenta, al contrario di me. Anche se sono in ritardo, il cliente e il suo avviso di garanzia possono aspettare. Ora è lei a calamitare il mio sguardo, a tenere i miei piedi incollati a terra.
Tutto quel rosa mi irrita, ma non è il suo vestito a darmi fastidio. No, è proprio la sua figura a innervosirmi. È Minnie.
Il suo musetto, per le mie amiche dolce, per me sornione, mi ricorda l’INFANZIA. Anzi, il suo frammento più triste, quello che ha plasmato per sempre la donna che sono.
L’immagine smilza della topolina campeggiava fiera sul trolley che, per lunghi anni, ha costituito il mio errante armadio. Stracolmo di vestiti, faceva, proprio come me, il pendolare fra la casa di mamma e quella di papà che condividevano, rispettivamente, con un altro uomo e un’altra donna, i cui figli, alla mia assenza, occupavano i miei spazi.
Nonostante quella valigia rappresentasse per me l’unica costante, sono arrivata ad odiarla. D’altronde lei e Minnie, ai miei occhi, erano perfetta allegoria del mio malessere. Del mio sentirmi un puro e nudo oggetto: la figlia con le rotelle.
Oltre a vestiti e libri, nel trolley malandato non c’era spazio per i miei sentimenti e i miei malumori. Forse, esattamente come a casa di mamma e di papà, non c’era spazio nemmeno per me.
Allora mi ritrovavo a intavolare lunghe conversazioni con la figura di Minnie, implorando il suo aiuto quasi fosse una dea. Ma da lei, ovviamente, non ottenni mai risposta e nemmeno attenzione, proprio come dai miei genitori.
Una rabbia ceca mi monta dentro, capisco che è ora di andarmene. È il momento di abbandonare la topolina al suo destino, proprio come, durante l’INFANZIA, lei ha fatto con me.
Giro sui tacchi. Il cliente mi sta aspettando…