La solida superficie si staglia contro la mia mano; una forza inamovibile. Incontrastabile. Scorrendo le dita, percepisco le venature dei sassi, le quali sono a formare infinite strade e incroci tra cui mi perdo.
Il sole caldo accarezza la superficie di roccia levigata dal mare; le onde ancora a sollecitarla, bagnandomi il palmo con l’alta marea. Un taglio mi brucia a contatto con il sale. Sussulto, ma non oso lamentarmi.
L’indice, quindi, scivola tra le insenature scavate dal tempo; la parata di scogli, con il suo saliscendi, ricorda a tratti il corpo sinuoso di una donna. Forse con qualche spigolatura in più.
Cammino, immergendo i piedi nell’acqua marina. Un toccasana di freschezza. Mi sento rinvigorita; viva più che mai.
Più avanti, una ragazza è intenta a pizzicare la superficie rocciosa, donandole una propria individualità. Una diversa forma. Quasi come se il regno minerale prendesse vita tramite la mia persona, percepisco sulla pelle i graffi e le punture inferte dallo scalpello guidato dall’esperta mano dell’artista.
Dunque continuo, assecondando i miei passi premurosi. Più in là, le mie falangi rincorrono onde asciutte. L’acqua sembra essersi dissolta. Evaporata; trasformatasi in resistente roccia. La mano dell’uomo si è sostituita alla natura, trasformando gli elementi in una nuova dimensione. Sconosciuta, confusa.
Indomita, faccio scorrere ancora le dita fra gli scogli: ne seguo la superficie granulosa.
Al tatto, riconosco un contorno familiare; la sua silhouette non mi è nuova. Non so perché, mi ricorda l’infanzia. La spensieratezza.
Mi perdo nel groviglio di capelli, sino a tastare i lineamenti del viso. Severi, freddi. Più giù, i capezzoli turgidi si aprono su sodi seni. Quasi fossero roccia. O forse lo sono davvero.
Così, abbandono l’inerme sirena e mi dirigo di nuovo verso il mare. La sua acqua salata inghiotte parte di me, ripulendomi da frammenti rocciosi e minuscole schegge minerarie.