SILVIA RISPONDE – DISABILITA’ E DINTORNI

Ed eccoci all’ultima puntata di “Silvia risponde”. Spero che questa rubrica sia stata apprezzata e utile a conoscere aspetti di me che, magari, nella vita di tutti giorni tendo a nascondere. Come appuntamento conclusivo (almeno per questa sessione, poi chissà) ho voluto trattare un tema spinoso.

Per onestà non potevo esimermi dal rispondere alle domande sulla… disabilità!

1) Dove hai trovato la forza per andare contro a tutte le prognosi negative avanzate dai medici in merito alla tua disabilità?

A seguito di complicanze durante il parto, ho una disabilità motoria di tetraparesi-spastico-distonica. Soprattutto nei primi anni di vita, i medici ipotizzavano prognosi disastrose: non avrei parlato (adesso lo faccio troppo), camminato e non avrei potuto frequentare ordinari percorsi scolastici.

Col senno di poi… non è andata così. Proprio per niente!

Tuttavia, non mi sono mai lasciata abbattere da questi pareri. Un po’, per fortuna, ero piccola e non ancora in grado di comprendere certe terminologie e, dunque, farmi influenzare. Il mio mondo ero io e così, giorno dopo giorno, scoprivo le mie potenzialità e i miei limiti, senza troppo dare peso a quei paroloni per me vuoti.

Anche oggi, che ormai sono adulta, penso che la diagnosi, per quanto utile con riferimento ai trattamenti medici e farmacologici, sia per la persona un qualcosa di sterile, talvolta una gabbia. Identificarsi con la diagnosi rischia di farci perdere stimoli e nasconderci dalle responsabilità che ognuno, indipendentemente dalla condizione, ha ed è giusto che abbia.

2) Quali sono le persone che ti hanno aiutata di più a reagire dal punto di vista terapeutico e scolastico? Quali sono state, quindi, le figure determinanti?

Fortunatamente, sul mio cammino, il destino (o la Provvidenza, per chi è religioso) mi ha regalato persone meravigliose dal punto di vista umano e professionale.

Nell’ambito medico sono state tante le persone che hanno creduto in me. Prima tra tutte, la pediatra, dottoressa Sacchi, la quale sin da piccola ha intuito che sarei diventata una bambina, e poi una donna, tosta e “con le palle”. Tuttavia, la vera svolta è avvenuta con l’incontro con la dottoressa Laura Bertelè e i suoi terapisti. A otto anni ho iniziato a seguire il “metodo Bertelè”, che pratico tutt’ora: questa terapia mi ha aiutata ad avvicinarmi al mio corpo, a rispettarlo.

Colgo l’occasione per un piccolo spoiler: ho aderito a un progetto letterario di Laura. Nei prossimi mesi in “Collana di luce” uscirà anche un volume che racconta la mia storia, narrata in prima persona.

Anche a livello scolastico ho incontrato molte figure positive. Oltre a Roberta, mia maestra d’asilo, a credere sin da subito nelle mie potenzialità è stata Sandra, insegnante dell’elementari. Lei, insieme a Terry e Veronica, insegnante di sostegno ed educatrice, ha saputo stimolarmi correttamente e darmi gli strumenti per andare oltre le difficoltà fisiche. Inoltre, alle medie, ho avuto la fortuna di lavorare con Patrizia, insegnante di sostegno, la quale mi ha aiutata molto sia dal punto di vista scolastico che, soprattutto, dell’autonomia.

3) Hai poco più di trent’anni, eppure la tua vita è così “piena” che molte persone non riuscirebbero a fare e vivere in tre vite quello che hai passato e vissuto tu. Dove trovi la forza e la grinta? Come hai trovato la tenacia e la determinazione che ti hanno portata a raggiungere i traguardi che ti sei prefissata?

Anch’io ogni tanto me lo chiedo. Alcune volte, mi guardo allo specchio e mi dico: “Silvia, anche meno”!

Ma non ce la faccio…

Non vorrei sembrare troppo complicata ma credo che la forza di fare e di percorrere più strade possibili mi sia stata donata proprio dall’aver sentito la vita sfuggirmi di mano. Può apparire strano, ma lo credo veramente. È questione d’istinto, forse lo stesso che mi ha fatto sopravvivere. È un’energia del tutto irrazionale.

La sfida più dura e determinante l’ho dovuta affrontare proprio quando sono venuta al mondo. E l’ho vinta, nonostante tutto. Mi sono tenuta la vita incollata addosso e del suo soffio capisci l’importanza solo quando sta venendo a mancare.

Posso apparire cinica ma, a volte, quando mi dispero per altre situazioni dolorose arriva sempre il punto dove mi fermo e penso: “Guarda che stai ancora respirando, calma”! E allora va bene così…

4) Nella società attuale, dove la discriminazione inizia già dall’essere brutto o bello, ricco o povero, quanto la tua disabilità ti ha messo davanti a questa realtà?

Tanto. Forse nei primi anni di vita anche troppo. Soprattutto durante l’infanzia e l’adolescenza mi sono dovuta scontrare con l’ignoranza della società, con prese in giro e talvolta discriminazioni. Non è stato facile.

Fortunatamente, ho trovato conforto, da piccola, in mamma, papà, Chiara e, più in generale, nei miei familiari. Essi non mi hanno mai nascosto né protetta dalla mia disabilità né dalle conseguenze della stessa; piuttosto, mi hanno sostenuta, aiutata ad accogliermi e a camminare per la mia strada.

Ruolo determinante in questo percorso di accettazione – devo ammetterlo – l’ha avuto il mio ex fidanzato. Con lui ho imparato a vivere la disabilità con più leggerezza, a prendermi gioco dell’ignoranza degli altri e a fregarmene dei loro pregiudizi. Nonostante la nostra storia sia finita, di questo gliene sono grata.

Tuttavia, la vera svolta è arrivata con il percorso EMDR, affrontato con la dottoressa Lucia Formenti. Lucia mi ha aiutata a diventare più consapevole di me stessa, ad accettare i miei limiti e le mie imperfezioni: raggiunto un discreto equilibrio, il giudizio degli altri non t’interessa!

Ora, da adulta, le discriminazioni non sono cessate ma… o me ne frego o rispondo a tono.

5) Qual è la tua fragilità nascosta, quella che nessuno immagina?

Lascio volentieri all’immaginazione…

Però ho promesso che avrei risposto a tutte le domande, e dunque rispondo anche a questa (compatibilmente con la mia privacy!).

Credo che la mia più grande fragilità sia legata all’amare, alla sessualità e al sentirmi donna.  Nonostante abbia accettato più o meno la disabilità e abbia alle spalle un’importante e lunga storia d’amore, per certi aspetti faccio ancora fatica a coniugare il mio aspetto fisico alla femminilità. Le mie titubanze non sono legate né a qualcosa di oggettivo, né tantomeno a giudizi esterni: le avverto io, nel mio intimo. Anche su questo aspetto sto lavorando con la terapeuta mediante l’EMDR.

Ecco, questa, in questo momento della vita, è la mia principale fragilità.

6) Qual è la tua definizione di libertà?

Potrei rispondere: fare quello che si vuole, andare dove si vuole.

Ma non è così, almeno per me.

La vera libertà, a mio parere, è quella dell’anima. Essere in pace con se stessi, perseguire sino in fondo i sogni non ha prezzo; così come non avere nulla da recriminarsi. Sul piano sociale credo che la vera libertà, e forza, sia il rispetto verso gli altri. Può sembrare banale ma il non fare del male all’altro, non ferirlo, ci rende liberi; liberi dalle ombre e dai sensi di colpa che ci imprigionerebbero all’interno.

7) Legge n. 104/1992; ICF, 2001, Organizzazione Mondiale della Sanità; Conv. ONU, 13 dicembre 2006: sono questi i riferimenti cardine che dovrebbero tutelare e aiutare coloro che, per i più svariati motivi, si trovano in condizione di disabilità. In relazione alle tue esperienze e conoscenze, sia come danna con difficoltà motorie che da avvocato, pensi che la società abbia compiuto significativi passi avanti divenendo davvero inclusiva o piuttosto, nonostante quanto sopracitato, il cammino, in tal senso, sia ancora estremamente lungo?

Domanda estremamente difficile cui rispondere in poche righe; ma proverò a riassumere il mio pensiero.

Per ciò che riguarda la tutela della disabilità in termini di legge, credo si siano fatti notevoli passi avanti, almeno sulla carta. Potrei portare a sostegno di ciò mille esempi, ma mi limito a sottolineare quello che per me è il più significativo: l’abolizione delle classi speciali che ghettizzavano la disabilità. Con questo intervento e l’introduzione dell’insegnante di sostegno, nel 1977, si è iniziato un percorso di introduzione dei bambini diversamente abili nella società, dando la possibilità anche a loro non solo di istruzione ma, soprattutto, di socializzazione.

Tuttavia, a mio parere, il grande scoglio non è ex se la legge, ma l’applicazione e la concretizzazione dei suoi dettami: non sempre la tutela legislativa viene tradotta in pratica, poiché, in tal modo, ci si scontra con una realtà ben lontana dall’astrattezza. Per spiegarmi meglio, farò un altro esempio: i trasporti. Ci sono decine e decine di norme che regolano l’accessibilità ai mezzi pubblici ma, di fatto, buona parte di essi risultano ancora faticosamente fruibili per i disabili.

Discorso diverso, invece, riguarda la società, e quindi la vita di tutti i giorni. Qui, a mio parere, purtroppo si deve ancora differenziare le tipologie di disabilità. Mentre le persone con disabilità motoria, al giorno d’oggi, sono ben inserite in ambito lavorativo e sociale, i soggetti con disabilità comportamentale e/o cognitiva trovano ancora molta difficoltà in tal senso, venendo talvolta emarginati. Ciò credo che sia dovuto a un processo di “sedimentazione” del diverso, la cui sensibilità varia di epoca in epoca: se per i nostri nonni e genitori non era consueto rapportarsi nemmeno a una persona affetta da disabilità fisica, ora è divenuto normale. È del tutto normale che in un gruppo di amici ci sia un ragazzo o una ragazza con handicap motori. È normale che lavorino e che abbiano una famiglia.

Dunque, la società è andata a ricercare la “diversità” in altre situazioni, quali la disabilità comportamentale/cognitiva, lo straniero, l’omosessuale. Per concludere, quindi, credo che la vera inclusione si avrà solo quando smetteremo di chiederci cosa sia il diverso e inizieremo a considerare ogni persona come unica e irripetibile.

Per concludere, non mi resta che ringraziare tutti coloro che mi hanno posto domande e curiosità e chi mi ha letto. Settembre è ormai alle porte… buon lavoro a tutti!

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Grazie per aver votato!

Pubblicato da Silvia Schenatti

Silvia Schenatti (Lecco, 1992) è cresciuta tra il lecchese e la Valmalenco. Consegue il diploma al Liceo socio-psico-pedagogico di Monticello Brianza e si laurea, con lode, in Giurisprudenza all’Università degli Studi di Milano-Bicocca, discutendo una tesi in diritto penale. Terminati il tirocinio e la pratica forense, nel 2021 ottiene il titolo di Avvocato. Da sempre amante della scrittura, “L’inferno dentro i suoi occhi” è la sua opera prima.

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