Scintilla

26° settimana: CUDDLE/COCCOLARE

Mi fermo. Osservo la scritta ricamata sul mio posto, in un corsivo elegante: Lucio.

Sorrido. Chissà cosa starà facendo ora a casa con la babysitter…

Chiudendo gli occhi, comodamente adagiata sulla poltrona della mia stanza, riesco a sentire ancora il suo primo vagito; la prima traccia della sua esistenza regalata a questo mondo.

Anche se non attanagliata da dolori e contrazioni lancinanti, ero comunque lì con lui, in quella sala parto ove, tutt’ora, a ogni turno mi lascio sorprendere dalla magia della scintilla vitale. Quel piovoso giorno di due anni fa, fui io la prima ad accoglierlo fra le braccia; io la prima testimone del suo dolce e impercettibile respiro.

Fu quando lo ripulii dagli oleosi residui di liquido amniotico che me ne accorsi. Le sue piccole orecchie avevano un’attaccatura un po’ più bassa rispetto al solito e i suoi languidi occhi si increspavano in una leggera curvatura.

Guardai la donna, ancora stesa sul lettino, affidata alle premurose cure delle infermiere. Mi avvicinai, con suo figlio in braccio. Appoggiai quel frugoletto sul suo seno, presi un profondo respiro e la ammirai con infinita dolcezza. Poi, in un sussurro, riuscii a dire: “il suo bambino è affetto dalla sindrome di Down”.

Ricordo perfettamente quegli istanti. Io che scelsi di non continuare la frase con un “mi dispiace”: non era una tragedia, non c’era proprio niente per dispiacersi. Lei che, con espressione distaccata, allontanò il neonato dalla pelle, privandolo del suo odore e del latte materno.

Provai a convincerla più volte, nelle ore a venire. Ma non ci fu niente da fare.

La vidi il giorno dopo mentre lasciava il reparto, accompagnata dal marito e dalla figlioletta dai boccoli biondi. L’ovetto stretto nella mano dell’uomo era vuoto.

Osservai la famigliola da lontano, asciugandomi una lacrima ribelle con il dorso della mano. Andai nella mia stanza, ma non trovai pace. Allora, senza nemmeno pensare, mi precipitai al nido, dove mi ritrovai a COCCOLARE quel tenero fagotto, spensieratamente addormentato.

Fu allora che mi venne l’idea. Parlai con mio marito e, dopo qualche giorno, ci trovammo a compilare i documenti per il Tribunale.

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Pubblicato da Silvia Schenatti

Silvia Schenatti (Lecco, 1992) è cresciuta tra il lecchese e la Valmalenco. Consegue il diploma al Liceo socio-psico-pedagogico di Monticello Brianza e si laurea, con lode, in Giurisprudenza all’Università degli Studi di Milano-Bicocca, discutendo una tesi in diritto penale. Terminati il tirocinio e la pratica forense, nel 2021 ottiene il titolo di Avvocato. Da sempre amante della scrittura, “L’inferno dentro i suoi occhi” è la sua opera prima.

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