Resilienza

2° settimana: PUPPET/FANTOCCIO

Era tutto pronto. Solo poche ore, il tempo di lasciare che il cielo si coprisse del suo mantello più scuro, e la vallata sarebbe stata avvolta in una nuvola di fumo acre e penetrante.

La catasta di tronchi e legni era adagiata lì già da parecchi giorni, quasi a fare da guardiana al corso del fiume che periodicamente cambiava direzione, creando nuove insenature e inaspettati arenili.

In cima al confuso mucchio di ciocchi, cosicché tutto il piccolo borgo montano lo potesse vedere, svettava lui, quel FANTOCCIO che, il 21 aprile di ogni anno, veniva inghiottito da lingue ardenti. Anche quella volta, al suo collo alcuni uomini avevano legato una bandana nera ornata dell’inquietante fascio littorio con all’apice un’aquila orata.

Gloria, arrestando la sua corsa a pochi centimetri dalla montagna di legna, puntò il suo ditino verso l’alto, indicando lo strano FANTOCCIO.

«Che cos’è quello, nonna? Perché lo bruceranno?».

L’anziana, trascinando dietro sé altri due bambini baldanzosi, raggiunse la nipote e si accomodò sull’unico fazzoletto di erba cresciuto accanto al letto del torrente. I ragazzini la imitarono.

«Vedete, piccoli» esordì la vecchietta, assumendo un’aria seria. «Credo sia giunta l’ora di raccontarvi la storia delle nostre origini… e di questo meraviglioso paesino, il Borgo di San Giacomo».

Aprile 1945

La valle era oscura; pareva disabitata. L’unica traccia di presenza umana era il debole alone di luce che s’intravedeva al di là di qualche finestra.

In quelle case si consumava una candela; i suoi abitanti dovevano essere implacabili sostenitori del Duce. Quasi fosse un assioma: una fiammella, un fascista.

Nonostante dalla radio, per quel poco che prendeva, arrivassero speranzose notizie di un’Italia ben presto libera e di un’imminente caduta di quell’assurda dittatura, la vallata di San Giacomo pareva essere stata dimenticata dagli eserciti amici. Lì, il Fascio e il suo credo avevano ancora il sopravvento.

In quel piccolo borgo, arroccato sulle pendici di un imponente massiccio delle Alpi Retiche, sembrava che il tempo si fosse arrestato al 1942: nessun soldato d’oltreoceano, nessuna resa della dominazione fascista autoctona. Solo qualche coraggioso partigiano, in netto contrasto con la bandiera che garriva all’esterno del Municipio, raffigurante il fascio littorio.

Quella notte di aprile tirava un’aria gelida; il cielo era terso, come se le stelle volessero fare da sfondo alla gloriosa impresa che, da lì a qualche ora, si sarebbe compiuta. Anche gli animali, insolitamente silenti nelle loro stalle, attendevano pazienti un nuovo destino.

Nelle baitelle buie, le donne erano raccolte in preghiera, sorvegliando i bambini sprofondati in un sonno spensierato. Le accorate invocazioni rivolte al Signore erano tutte per i loro mariti, dal tramonto nascosti fra la vegetazione del fitto bosco di conifere, pronti, con asce e seghetti, a cambiare il corso della storia.

“Ora o mai più”, era il loro motto.

Fu questione di secondi. Un grande boato si propagò nella chiusa vallata, svegliando i suoi abitanti, o almeno quei pochi che dormivano. Ignari.

Il podestà si precipitò verso la Casa comunale, coperto dei primi vestiti raccattati ai piedi del letto. Fuori era il baccano.

Facendosi largo tra la folla impazzita, giunse alle porte del Municipio e solo in quel momento lo vide. Volgendo il naso all’insù, notò che un enorme tricolore aveva soppiantato lo stendardo littorio, quale simbolo di pace e speranza per gli abitanti.

Fu allora che si rese conto: un fastidioso odore stava appestando le sue narici. Sporgendosi verso l’oscuro burrone, sulla riva destra del fiume vi era un grande falò, sulla cui sommità stava ardendo un FANTOCCIO vestito della bandiera fascista. Era l’alba del 21 aprile 1945.

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Pubblicato da Silvia Schenatti

Silvia Schenatti (Lecco, 1992) è cresciuta tra il lecchese e la Valmalenco. Consegue il diploma al Liceo socio-psico-pedagogico di Monticello Brianza e si laurea, con lode, in Giurisprudenza all’Università degli Studi di Milano-Bicocca, discutendo una tesi in diritto penale. Terminati il tirocinio e la pratica forense, nel 2021 ottiene il titolo di Avvocato. Da sempre amante della scrittura, “L’inferno dentro i suoi occhi” è la sua opera prima.