31° settimana: BOX/SCATOLA
La Polizia mi stava cercando, me lo ha detto Jordan ieri sera quando, riuscendo a svincolarsi dalla soffocante, quasi morbosa, sorveglianza dei suoi genitori, mi ha raggiunto al nostro posto segreto, portando con sé una fetta di pane e un po’ di formaggio. La mia cena.
Solo lui sa dove mi trovo. Ed è grazie a lui se, da giorni, sto sopravvivendo alla mia latitanza.
Sì, perché quando ho deciso di sparire il mio migliore amico era lì accanto a me. Sentivo il suo respiro affannoso confondersi con il mio mentre, con mano tremante, aprivo la SCATOLA in cui erano riposti i segreti del mio essere.
Mi accasciai a terra, investito da quei mostruosi sospetti che si erano incarnati in cruda realtà. Nelle mie vene scorreva un corredo genetico a me completamente estraneo, testimone di un passato che non conoscevo. Retaggio di un’esistenza incompatibile con il mio vissuto.
Dopo undici anni avevo scoperto non essere l’amorevole frutto dell’ovulo di mia madre e dello spermatozoo di mio padre, i quali mai si erano fusi.
Davanti agli occhi sbarrati di Jordan, avvertii un moto di odio, i cui demoni eruttarono sotto forma di vomito. Fu allora che decisi di nascondermi, e lo feci prima che mia mamma rincasasse.
In mezz’ora raggiunsi il nostro posto segreto accanto al gretto del fiume.
Non lo feci per ripicca e nemmeno per dare preoccupazione ai miei genitori che, nonostante non fossi sangue del loro sangue, mi hanno sempre dato calore e sostegno.
Decisi di nascondermi per metterli alla prova. Avevo bisogno di sapere fin dove arrivasse il loro amore e se, almeno loro, al contrario dell’uomo e della donna che mi avevano messo al mondo, sarebbero impazziti per la mia assenza.
La notizia che mi aveva portato Jordan circa il dispiegamento di Forze dell’Ordine e la disperazione dei miei valevano già la conferma di ciò che stavo cercando. Dopo tre giorni era ora di tornare a casa.