Ecco che torna la rubrica “Parola all’esperto“… con una piccola variazione. Questa puntata anticipa la chiacchierata con l’insegnante della scuola primaria, che avevo in programma per il prossimo mese. Sandra Roccabruna, mia maestra delle (allora) scuole elementari e attualmente mia grande amica, risponde ad alcune domande sull’approccio e sui metodi di insegnamento alla primaria.
Per mantenere il profilo democratico che contraddistingue questo blog, la “domanda dei lettori“, non avendo avuto il tempo di fare il sondaggio, è stata pensata da mia mamma.

1) Cosa ti ha spinta a intraprendere il percorso di insegnante della scuola primaria?
Fin da bambina avevo un sogno: desideravo essere un’insegnante sempre sui libri e tra i suoi alunni, perché volevo qualcuno con cui condividere lo stupore delle cose meravigliose che il sapere ci offre. Ebbene, il mio sogno si è realizzato. Tuttavia, non avrei mai immaginato che la realtà sarebbe stata più bella del mio sogno: perché i miei alunni sono stati migliori di ogni possibile sogno.

2) Qual è, a tuo parere, la “missione” dell’insegnante?
Prima di tutto mi sento di dissentire da coloro che classificano quella dell’insegnante come una professione. A mio parere, deve essere considerata una vera e propria “missione”, che però non è per tutti. Infatti già dalla scuola primaria un valido insegnante deve avere la capacità di aiutare i propri alunni a crescere in modo sereno e responsabile, comprendendo le loro difficoltà e aiutandoli a superarle.
3) Veniamo all’importanza delle parole nella professione di insegnante. Che differenza c’è tra “conoscenza” e “competenza”? Perché è importante aiutare il bambino a sviluppare entrambi gli aspetti?
Le conoscenze sono ciò che ogni alunno impara attraverso lo studio. Le competenze invece sono ciò che ha imparato “facendo” nel corso della sua esperienza, raggiungendo abilità che sono il risultato dell’applicazione congiunta delle prime due in una situazione di realtà. Sono entrambe importanti perché contribuiscono alla maturazione personale di ciascun bambino e lo aiutano a diventare una persona consapevole.
4) Durante il passaggio scuola dell’infanzia-primaria, il bambino deve affrontare diversi cambiamenti, anche a livello comunicativo. Quali sono le principali difficoltà comunicative-relazionali che, nella tua carriera, hai riscontrato nei piccoli alunni durante i primi mesi di scuola?
Durante la mia carriera di insegnante della scuola primaria ho sempre cercato, fin dai primi giorni di scuola, di instaurare con i miei alunni un rapporto comunicativo adatto alla loro età, coinvolgendoli in attività prima di gioco poi di lavoro, lasciandoli esprimere liberamente secondo le loro abitudini e necessità. Forse qualche difficoltà posso averla registrata nel passaggio dalla scuola materna alla primaria per quanto riguarda gli aspetti relazionali.
A quella età, infatti, i bambini sono ancora pervasi da egocentrismo. Pertanto ho sempre cercato di educarli verso la conoscenza e l’accettazione di ciascun compagno per avviarci tutti insieme alla formazione di un gruppo classe funzionante.
5) Spesso la scuola primaria svolge anche la funzione di “responsabilizzare” il bambino. In che modo ci si approccia a questo percorso di responsabilizzazione? Puoi farci degli esempi?
Per arrivare a responsabilizzare un alunno, secondo il mio parere, bisogna prima di tutto creare delle condizioni di apprendimento ottimale per tutti, appianare difficoltà e differenze, allo scopo di mettere ciascun bambino nelle condizioni di scoprire, valorizzare ed esprimere al massimo il proprio potenziale, tenendo conto di tempi e risultati individuali.
Un percorso di responsabilità a scuola può essere sviluppato attraverso l’apprendimento attivo. Per esempio far creare agli alunni stessi delle brevi lezioni da sottoporre ai compagni, la collaborazione con lavori di gruppo, l’autonomia svolgendo autocorrezione e la presa di decisioni creando tutti insieme regole da rispettare sia durante il lavoro scolastico sia durante le attività libere e di gioco.
6) Nei bambini in età scolare (6-10 anni), quanto è importante il gioco? Che ruolo svolge nel loto sviluppo personale e sociale?
Ritengo il gioco fondamentale per lo sviluppo dei bambini di tutte le età. In particolare per quelli tra i 6 e i 10 anni favorisce lo sviluppo cognitivo, motorio, affettivo e sociale. Per il bambino il gioco è molto importante perché attraverso esso riesce ad esprimere bisogni, desideri, stimola la sua creatività e gli consente di sperimentare e sperimentarsi. Pertanto il gioco, come attività liberamente scelta, da svolgere sia singolarmente sia in gruppo, sviluppa ed esercita nel bambino capacità fisiche, manuali, intellettive e quasi sempre gli consente la sua integrazione nell’ambiente.
7) Nel corso degli anni, le scale e i sistemi di giudizio sono notevolmente cambiati. Cosa ne pensi dei nuovi parametri di giudizio? È giusto non impartire al bambino i classici voti o, al contrario, pensi che questi possano rappresentare un’occasione per confrontarsi con se stessi e, dunque, crescere?
Per quanto riguarda la valutazione ho sempre cercato di esaminare e considerare il lavoro di ogni alunno come il risultato di un percorso personale. Dunque, preferivo dare una frase di giudizio che facesse capire come avesse svolto il lavoro tenendo conto delle capacità e delle tempistiche di ognuno. Il bambino non deve vivere la valutazione come una gara, un giudizio definitivo, ma deve essere un’occasione per verificare le proprie capacità, le proprie acquisizioni e la padronanza di determinati apprendimenti progressivamente acquisiti nel corso del tempo. Deve risultare un momento positivo di riconoscimento di quello che è il successo formativo dei bambini stessi. Ogni alunno può imparare nella consapevolezza di aver fatto bene e di essere riuscito a raggiungere gli obiettivi.
8) Una curiosità… anche un po’ spinosa. Come vedi i nuovi metodi di insegnamento, a detta di molti all’avanguardia, che negli anni stanno soppiantando quello classico (lezione frontale)?
Sicuramente è da sempre auspicabile una metodologia didattica più innovativa, che metta al centro dell’azione educativa lo studente, i suoi bisogni e le sue potenzialità. Le nuove tecnologie, per esempio consentono di personalizzare l’istruzione in base alle esigenze degli studenti, favoriscono la loro partecipazione attiva, sono utili per gli studenti con Bisogni Educativi Speciali (BES). Permettono dunque di creare ambienti di apprendimento dinamici e coinvolgenti stimolando la creatività e la collaborazione.
Sono però dell’idea che non si deve abbandonare completamente la lezione frontale. Piuttosto sta nell’insegnante affrontarla non centrandola completamente su se stesso, ma coinvolgendo gli alunni nel creare la lezione e l’attività.
Ricordo con grande piacere quando entrando in classe i miei alunni mi chiedevano: “Maestra cosa facciamo oggi di bello?”
9) Si parla sempre di inclusione. Secondo te, ad oggi, si può dire raggiunta? In che modo si cerca di concretizzarla nel contesto della scuola primaria?
Oggi, l’inclusione dovrebbe concentrarsi sul coinvolgimento di tutti gli studenti, cercando di valorizzare le loro potenzialità. Questo significa che dovrebbe essere la scuola stessa ad adattarsi agli studenti anziché il contrario. La progettazione deve prevedere proprio il disegnare la didattica in base alle caratteristiche, alle abilità e ai bisogni del singolo allievo.
Il “bravo” insegnante è in grado di creare un clima di classe inclusivo dove la diversità deve essere riconosciuta e accettata ed è in grado di adattare il proprio insegnamento agli alunni che ha di fronte, valorizzando la cooperazione del gruppo classe. Ad oggi penso che ci sia ancora da lavorare per far sì che ogni insegnante riesca a capire cosa sia l’inclusione.
10) Ora un tasto dolente: la comunicazione insegnante-genitori. Nella tua carriera, hai trovato difficoltà, in generale, ad approcciarti ai genitori dei tuoi alunni? Se sì, quali sono stati i maggiori ostacoli?
In tanti anni di insegnamento ho sempre cercato di far capire ai genitori dei miei alunni quanto fosse importante la collaborazione scuola-famiglia. Ho sempre parlato in modo sincero e comprensivo verso quei genitori che mi chiedevano il loro aiuto.
Alcune volte, lo ammetto, sono stata n po’ troppo diretta e decisa per far accettare ad alcuni genitori le difficoltà e le problematiche del loro bambino. Con perseveranza e le giuste motivazioni siamo riusciti a capirci e a collaborare insieme per il bene del loro figlio. I risultati ci sono stati e sono stati apprezzati con grande soddisfazione in primis dall’alunno stesso, dalla famiglia e con immenso piacere dagli insegnanti.
11) Che importanza ricopre, per e con bambini della scuola primaria, la comunicazione non verbale?
La comunicazione non verbale è importante a scuola. Migliora la comprensione e l’interazione tra gli studenti; inoltre aiuta a instaurare un rapporto di fiducia, a creare un clima positivo e a favorire l’apprendimento.
La comunicazione non verbale si riferisce a messaggi trasmessi attraverso espressioni facciali come sorridere, linguaggio del corpo, gesti e tono della voce.
Importante per me è anche il contatto visivo con l’alunno per stabilire una connessione tra insegnante e bambino, come pure i gesti e movimenti delle mani per coinvolgere l’attenzione sui punti chiave di quello che si vuole dire.
12) DOMANDE DEI LETTORI: Qual è il tuo approccio e quello degli alunni quando incontrano bambini con difficoltà motorie e/o di comportamento?
Durante i miei anni d’insegnamento ho avuto alunni con difficoltà motorie, con la sindrome di Asperger, alunni autistici, alunni con disturbi dell’attenzione e alunni con la sindrome di Tourette. Non è stato semplice, ma da subito ho cercato creare un ambiente scolastico sereno, cercando di far capire che tutti noi possiamo imparare dall’altro. Ho cercato di insegnare che bisogna imparare fin da piccoli a sapersi relazionare e a collaborare con tutti.
Devo dire che i miei alunni hanno imparato tutto ciò e con responsabilità si sono sempre resi disponibili con compagni che incontravano difficoltà, hanno saputo aiutarli e hanno gioito insieme anche dei più piccoli successi.
13) Ti senti di aggiungere altro riguardo il ruolo delle parole nella tua professione?
Come insegnante mi sento di affermare che ogni docente oltre le parole dovrebbe possedere competenza per dare fiducia ai propri alunni, entusiasmo per coinvolgerli in modo positivo verso l’ambiente e le attività scolastiche. Inoltre bisogna cercare di sviluppare capacità di collaborazione, pazienza ed equilibrio e cercare di trasmetterli a ciascun bambino.