Chi è Tecla Cattozzo? Quando e come ti sei avvicinata alla scrittura?
Mi chiamo Tecla Cattozzo, ho 34 anni, vivo e lavoro in provincia di Lecco. Dopo la maturità scientifica, ho conseguito la laurea in Scienze dei Beni Culturali. Sono da sempre appassionata di libri, viaggi, sport e spazi aperti, scrivo fin da quando ero bambina. Dopo «Wilderness» (uscito in doppia edizione tra il 2017 e il 2018); nel 2019 ho pubblicato il racconto breve «Avventura Di Natale»; «Il segreto della Rocca», racconto per “Brianzoli per Sempre” nell’ottobre 2020 per Edizioni della Sera; «I Mellini Stanno Bene» nel gennaio 2020 e in seconda edizione nell’ottobre 2020.
Cosa significa, per te, scrivere? Ha degli effetti terapeutici?
Mi è sempre piaciuto scrivere per ricordare le avventure, i pensieri, i sogni, l’immaginazione che prende forma. Nel lockdown è stato salvifico. Per una persona attiva il confinamento e la privazione di movimento, esplorazione, momenti sociali, dialogo, possono portare alla follia. Scrivere è stato -come leggere- una sana evasione dalla realtà e dal contesto.
Le idee per i tuoi romanzi ti vengono di getto o sono ragionate?
L’idea iniziale è quasi sempre un lampo di immaginazione, che sorge nei momenti più inaspettati. Poi tutta la storia si sviluppa in maniera più conscia a partire da questa. Comunque ho un taccuino virtuale su cui annoto riflessioni o brandelli di plot che mi vengono in mente mentre sono in giro. Inoltre, scrivo tutti i sogni che riesco a ricordare. Alla fine della messa in opera dei contenuti, quando il filone integrale della storia è più o meno sviluppato e coerente, ci si concentra su un pazzesco labor limae che procede prima per “accettate” (tagli e riscrittura di intere pagine o capitoli, inserimenti di nuovi episodi) e poi per rifiniture di stile, grammatica, sintassi e minimi passaggi logici. Fortunatamente ci sono diverse persone che fanno questo lavoro per me e meglio di me, con maggior lucidità e distacco.
Quanta parte c’è di Tecla nelle tue opere?
Tanta, a livello di spinta narrativa. Cerco di scrivere come mi piace leggere, in maniera avventurosa, con dei momenti riflessivi e descrittivi. Di autobiografico c’è la fuga dalla noia e la ricerca di azione e avventura in “Wilderness”, perché ero reduce da un grave incidente e vivevo nella frustrante immobilità. Ne “I Mellini” c’è soprattutto il riferimento ai racconti di guerra dei nonni che purtroppo non ho più e che volevo ricordare. Ho cercato di parlare di una guerra che viene trattata molto meno dei grandi conflitti del secolo scorso, senza avere la pretesa di farne un romanzo storico ma usandola come scenario per sentimenti umani e circostanze universali.
Ti è mai capitato, nella tua carriera di scrittrice, di non riuscire a trovare le parole per esprimere un concetto o un’emozione? Cosa fai in questi casi?
Si, molte volte. Di solito chiedo immediatamente, prima che mi sfugga il concetto, un suggerimento a persone più letterate di me che mi aiutano!
Nella stesura di un’opera, che importanza dai alla scelta del singolo termine?
Tanta credo. Una parola ben scritta, anche messa lì da sola, può fare la differenza nel creare un’immagine. Come in poesia. A volte capita di trovare nei romanzi scelte linguistiche inutilmente ridondanti, che male si accoppiano con la narrazione. È bello un po’ di sfoggio di erudizione ma bisogna anche essere comprensibili. Spero di esserlo abbastanza! Soprattutto, dice Stephen King, bisogna parlare di cose che si sanno.
Veniamo alla tua ultima opera, “I Mellini Stanno Bene”, classificabile come romanzo di formazione . Nella stesura, hai utilizzato diverse figure retoriche tipiche del linguaggio poetico (sinestesia, similitudine, ossimoro…). Che ruolo giocano tali figure nella “tua” prosa?
La poesia che si studia a scuola mi piace molto. Mi permetto di utilizzare il poco che ricordo quando mi sembra che possa rappresentare meglio la realtà stessa.
Ne “I Mellini Stanno Bene”, mi ha colpito una frase: “Una cosa inizia a esistere quando le diamo un nome” (p. 52). Che importanza ha, quindi, associare una parola ad ogni cosa (concreta o astratta)?
Molta, penso che il linguaggio sia magico e la capacità di far “vedere” cose con le parole un grande dono. Ho letto scrittori che ne sono assolutamente capaci e li ammiro moltissimo.
Nel tuo romanzo, utilizzi spesso il termine “fiducia”. Che significato dai a questa espressione e quanto è importante per te?
Sì, lo ritengo molto importante da tutti i punti di vista e particolarmente calzante in situazioni estreme. Credo sia ciò che rende possibile essere se stessi con un’altra persona, che si fida di te.
Cosa vorresti trasmettere o fare arrivare al lettore con il tuo romanzo?
La più grande conquista sarebbe che il lettore potesse dire di essere “caduto” nel romanzo, di aver sentito, provato ed esperito le stesse cose dei personaggi soltanto leggendo e di essersi sentito dentro la storia.
Un’altra curiosità. Spesso nella tua opera hai sottolineato le difficoltà che a volte insorgono nell’esprimere un sentimento o uno stato d’animo tramite le parole (soprattutto a seguito di forti traumi, come la guerra o la prigionia). Che ruolo dai, dunque, come Tecla e come autrice, al linguaggio non verbale?
Questa domanda è di difficile risposta. Penso sia sottovalutato dai più. Io tendo a considerarlo un importante veicolo di informazioni.
Un’ultima domanda. Attualmente, hai in programma nuovi progetti letterari? Di che genere?
Ho scritto durante il lockdown un romanzo, che è già stato revisionato. Per problemi di tempo ne sto procrastinando l’uscita.
Qui di seguito una brevissima trama, il titolo è ancora segreto:
Suspance blues, una rincorsa di errori, avventure e incontri ambientata in Louisiana, tra i sotterfugi illegali di un club di artisti e le storie di un autore sconosciuto che sembrano prendere vita nella realtà. Il passato e il presente si fondono nella leggenda e personaggi che sembravano perduti ritornano, con la forza della maturità e grazie al potere della scrittura. L’arte è padrona della violenza, o la violenza è trama dell’arte? Colin, Irma, Mike, Tessa, Sitka e Kay salgono tutti sulla giostra del caos per scendere cambiati. Ma qualcosa è rimasto: l’amore, la lealtà, il gruppo. Un finale aperto lascia il dubbio che si possa cambiare il corso della storia scrivendo.
In attesa di gustarci il suo nuovo capolavoro artistico, un grazie speciale a Tecla Cattozzo per questa interessantissima intervista!