Chi è Silvia, alias SILVIÆ § SCRIBIT?
Sono una ragazza (perché donna pare un po’ too much) che ha da poco compiuto 26 anni. Lavoro in un’azienda che si occupa di promozione e comunicazione turistica dei comuni italiani. Avendo studiato in un istituto per il turismo, questo lavoro fa decisamente al caso mio. Al di fuori della vita lavorativa, coltivo le mie passioni in maniera più o meno omogenea. Disegno, musica, lettura, scrittura, cucito, fotografia, palestra e gli “anime” giapponesi sono le principali fonti di benessere. Questi hobby mi consentono di evadere dal mondo esterno, diventando un tutt’uno con ciò che sto facendo. Amante smodata dei gatti e dei felini in genere, questi sembrano rappresentare la mia essenza formato animale, ragion per cui ho molteplici gadget e soprammobili a tema nella mia cameretta. Mi ritengo una persona molto semplice, poco materialista e più spirituale, che adora le piccole cose e le esperienze condivise.
Quando e come ti sei avvicinata alla scrittura?
Mi sono avvicinata alla scrittura sin da piccola quando, alle elementari, vinsi un concorso sulla poesia avente come tema la primavera. Diciamo che, anche grazie al contributo di mio nonno e di mia zia, avidi lettori, ho colto dalla loro passione i presupposti per farla anche un po’ mia, a tal punto da incominciare a scrivere brevi racconti e poesiole sin da piccola. Tuttavia, è solo da un paio d’anni a questa parte che, avendo in serbo un sacco di ispirazione, ho iniziato a elaborare contenuti più “massicci”, come i romanzi. Contenuti che mi auguro di poter elaborare anche in futuro.
Cosa significa, per te, scrivere? Ha degli effetti terapeutici?
Per me scrivere vuol dire liberare dalla gabbia i miei pensieri, le mie fantasie e tutto quello che concerne il mondo dell’estro e dell’ispirazione. E, poiché reputo la scrittura anche una mia passione, questa mi aiuta a scoprire anche cose di me stessa che pensavo di non avere. La scrittura, quindi, costituisce per me un mezzo per potermi conoscere meglio e conoscere meglio ciò che sono i miei excursus fantasiosi ed estrosi che mi balenano un giorno sì e l’altro pure. Ergo, la si potrebbe benissimo reputare una sorta di terapia benefica che mi aiuta a trovare un angolo di pace e di serenità lontana dai pensieri intrusivi.
Le idee per i tuoi romanzi ti vengono di getto o sono ragionate?
Facciamo un 50 e 50. Il più delle volte scrivo di getto. Tuttavia devo anche mettere in conto la logica causa-effetto, al fine di concatenare due o più scenari ipotetici che mi passano per la testa. Se all’inizio scrivo di getto, ciò che ne deriva lo elaboro poi seguendo un certo ordine affinché la trama e le vicende del romanzo non siano disordinate e di difficile comprensione.
Quanta parte c’è di Silvia nelle tue opere?
Tanta, troppa. Molto probabilmente un 80/90%. Nei miei libri cerco il più possibile di far capire il mio essere, che sia mediante le digressioni così come i dialoghi tra i personaggi coinvolti nelle vicende. Ritengo che l’opera debba anche far trasparire la personalità di chi la scrive. Ovvio, questo solo per i racconti di fantasia; per quelli più fedeli alla cronaca, alla storia o alle vicende politiche, questo fattore viene decisamente a meno poiché l’opera non sarebbe imparziale come dovrebbe realmente essere.
Ti è mai capitato, nella tua carriera di scrittrice, di non riuscire a trovare le parole per esprimere un concetto o un’emozione? Cosa fai in questi casi?
Un po’ di volte, a essere sincera. Ma quel “po’ di volte” si contano a malapena sulle dita d’una mano. In quei casi, interrompevo la stesura del capitolo e cercavo su internet dipinti che mi dessero ispirazione per poter rappresentare quel concetto/emozione che da sola mi era complicato fare. Anche la musica mi ha aiutata un sacco durante la stesura dei miei romanzi. Solitamente, scelgo su Spotify o su YouTube delle playlist adeguate per fissare nero su bianco ciò che, senza un accompagnamento musicale, non riuscirei a rendere così tanto impattante come desidero sia.
Nella stesura di un’opera, che importanza dai alla scelta del singolo termine?
Ovviamente in un romanzo TUTTO è importante per renderlo coeso, comprensibile e, soprattutto, coerente con la trama e l’idea iniziale del romanzo stesso. Ritengo che non si debba lasciare nulla al caso, poiché anche una parola – o un concetto – fuori posto, può alterare la natura del romanzo stesso. Perciò, durante la stesura dei miei romanzi, mi impegno al massimo affinché tutto sia coeso e lineare.
Veniamo al tuo ultimo romanzo, “Rivelazione X“, classificabile nella categoria “Fantascienza”. Hai trovato particolare difficoltà nell’utilizzare espressioni e termini tipici di questo genere?
Da persona che ama questo genere letterario, non mi è risultato difficile riportare su display ciò che risulta essere il registro solitamente utilizzato per elaborare un romanzo del genere. Mi affascina un sacco questo macrocosmo fatto di romanzi che portano le persone a sognare e a immaginare mondi e vicende che, al netto dei fatti, risultano essere irrealizzabili se non nelle menti di chi sogna a occhi aperti. Perché, parliamoci chiaro, attualmente non abbiamo ancora avuto la possibilità di avere a che fare con civiltà aliene e di sviluppare tecnologie all’avanguardia che fanno parte del costrutto e dell’evoluzione del popolo Aariano da me trattato nel romanzo. Siamo ancora tanto, troppo arretrati, per far sì che almeno il 30% di ciò che viene trattato nei romanzi di fantascienza si possa effettivamente realizzare nel breve-medio termine. Perciò sì, fino a quando non saranno realtà, saranno solo sogni riportati su carta.
In “Rivelazione X” ricorre spesso la parola “osservare”. Che importanza dai, come Silvia e come scrittrice, a questa azione?
Domanda interessante, davvero. Io mi ritengo una persona che guarda l’insieme così come il dettaglio. Mi piace osservare, guardare, ammirare ciò che ho di fronte e cogliere i cambiamenti che l’oggetto o la persona in questione può subire nel corso del tempo. Ritengo anche di avere un’ottima memoria fotografica che, in molteplici situazioni, mi porta a confrontare quello che era con quello che è ora. Osservare fa capire quanto il mondo è malleabile e adattabile a molteplici contesti. Tutto questo ci rende più consapevoli di quello che stiamo subendo giorno dopo giorno sulla nostra pelle così come sulle nostre esistenze. Anche osservare il cambiamento di una persona a livello psicologico ci fa capire quanto sia fondamentale per poter essere consapevoli di chi e di cosa ci circonda a tal punto da valutare se vale o meno la pena stare dove siamo oppure cambiare completamente prospettiva, stravolgendo le nostre vite.
Nonostante, nel tuo romanzo, si parli di alieni e sistemi extrasolari, utilizzi il termine “persone”. Che significato dai, quindi, a questa espressione?
Per me la persona è semplicemente un essere dotato di raziocinio così come di istinto. Un contenitore con dentro anima, mente e cuore. Un essere in grado di elaborare frasi di senso compiuto, ragionare, prendere decisioni in autonomia o confrontandosi con gli altri, un essere che avverte bisogni, non solo primordiali. Un essere curioso, che ama scoprire e imparare, un essere in grado di arricchire sé stesso – a tutto tondo – e arricchire anche gli altri. Diciamo che con questo termine intendo chiunque al di fuori delle bestie, dotate di elementi che vanno a cozzare con chi fa della propria vita anche un trascorso molto più complesso – detto terra terra – del semplice “nasci, cresci, ti riproduci, muori”.
Cosa vorresti trasmettere o fare arrivare al lettore con il tuo romanzo?
Il messaggio che voglio far trasparire è il seguente: abbiate cura di voi stessi e di quello che vi circonda. Abbiamo un solo pianeta che, nei suoi miliardi di anni, ha passato un sacco di eventi e di cambiamenti. Tuttavia, ciò che sta avvenendo ai giorni nostri, non è un cambiamento “naturale”. Perciò è nostro sacrosanto diritto far sì che la nostra unica culla debba essere tutelata il più possibile. Anche il popolo Aariano, durante la sua permanenza sul globo, ha fatto sì che la sua presenza non fosse scomoda per l’avvicendamento dei vari cicli naturali post ultima glaciazione. In questo caso vorrei sensibilizzare le persone ad avere cura di ciò che ci nutre e ci dà riparo, benessere e soprattutto VITA: la nostra cara Terra.
Attualmente, hai in programma nuovi progetti letterari? Di che genere?
Ne ho uno in porto che vorrei iniziare verso aprile. Una serie di mini racconti, di lunghezza variabile. Essi sono vincolati da un tema in comune che solitamente viene associato al colore rosso intenso, scarlatto, come quello dei petali di una rosa. Se mi attengo al progetto iniziale, dovrei pubblicarlo per novembre/dicembre di quest’anno. Attualmente non so quante pagine verranno fuori, ma ritengo che sarà un romanzo/raccolta che va un po’ al di fuori della mia comfort zone. Perciò la ritengo anche una sfida a fare ciò che prima non mi sarei mai immaginata di iniziare. Incrocio le dita!
Un’ultima curiosità. Assodato che, in qualità di scrittrice, il tuo principale strumento sono le parole, che importanza dai al linguaggio non verbale? Ti è utile ai fini dell’attività di autrice?
Il linguaggio non verbale è sullo stesso piano di quello verbale. I gesti, le espressioni facciali, le smorfie o gli atteggiamenti delle persone fanno capire ciò che sentono dentro; sensazioni o emozioni che non riescono a esprimere a parole o scrivendo. Ritengo che, nell’intrecciare un rapporto interpersonale è sacrosanto guardare anche i fatti, come gli altri si comportano con te anche senza usare le parole. Anche nei romanzi questo aspetto deve essere messo in luce al fine di creare un personaggio più completo e che non basi la sua personalità su quello che traspare dai dialoghi. Così si viene a creare un personaggio fedele alla realtà, in tutto e per tutto.