In continuità con la chiacchierata pubblicata sul blog con Stefano Verga, presidente dell’F. C. Como Women, ho avuto il piacere, e l’onore, d’intervistare il Capitano della squadra: Giulia Rizzon. Giulia, con la sua testimonianza, ci accompagna alla scoperta del calcio femminile, raccontandosi a cuore aperto.
1) Il calcio femminile ha visto una diffusione solo di recente. Nella tua esperienza, trovi o hai trovato pregiudizi in quanto calciatrice donna?
Sì, alcune volte mi sono trovata a dovermi confrontare con pregiudizi. In realtà, le situazioni pregiudizievoli che ho dovuto affrontare sono state veramente poche, grazie anche al contesto in cui sono cresciuta e alle frequentazioni che ho avuto. Per questo motivo, mi ritengo una ragazza molto fortunata. Da piccolina giocavo con i maschi. All’inizio questi ultimi erano un po’ scettici, poi, col tempo, ero la prima a venire scelta quando si dovevano comporre le squadre. Dunque, non ho incontrato molte problematiche.
Sono, inoltre, convinta che la “questione pregiudizi” dovrebbe, con gli anni e le nuove generazioni, andare un po’ a scemare. Tuttavia, noto che nella vita di tutti i giorni, in molti ambiti lavorativi, si faccia ancora fatica a riconoscere la parità di sesso tra uomo e donna: m’immagino lo chef, il manager, il pilota d’aereo.
Stiamo però crescendo come movimento di calcio femminile. Al proposito, mi viene in mente la recente partita Inter-Torino diretta da una terna arbitrale composta da sole donne. Per di più, era una gara importante, dove i nerazzurri giocavano in casa e festeggiavano lo Scudetto alla presenza di tante persone. Quindi, si sta muovendo qualcosa in più in tale direzione. D’altro canto, non posso nemmeno dimenticare che, pochi mesi fa, è stata pesantemente insultata una guardalinee solo perché si era scontrata contro una telecamera Poi si è scoperto che era stata proprio questa telecamera ad essere entrata in campo e a sbattere contro la professionista, ferendola al volto.
Purtroppo, ci sono ancora episodi pregiudizievoli e violenti. Dovremmo cambiare la mentalità di certe persone e ciò è molto difficile, non solo nel calcio femminile ma proprio nel Paese e nella società.
2) Che significato attribuisci al tuo ruolo di Capitano?
Il fatto che non mi senta addosso questo ruolo, che per molti è ritenuto importante, è la cosa che probabilmente mi fa essere ancor più Capitano. Nonostante ciò, non mi riconosco un ruolo fondamentale nella squadra, o comunque più importante delle mie compagne.
Ciò che, per me, è importante nel ruolo di Capitano è far capire cos’è Como, cosa significa indossare la maglia del Como e giocare in e per questa città. Per tutto il resto credo che sono la stessa identica giocatrice con o senza fascia.
Sicuramente è un ruolo di prestigio e importante, che mi piace. Penso anche con un po’ di orgoglio di essermelo meritata, ma soprattutto sono veramente grata e fiera di poter rappresentare Como in qualità di Capitano della squadra.
3) Quanto è importante, dentro e fuori dal campo, il dialogo e il confronto con le compagne di squadra e con il mister?
Ho conosciuto un mister che mi ha detto: “In campo si è come nella vita”. Ecco, per me, la distinzione dentro e fuori dal campo deve essere minima; sarebbe bello che quello che c’è in campo venga trasmesso anche fuori. A mio parere, se fuori c’è un bel gruppo, allora in campo ci riescono meglio le cose… come se fosse una conseguenza diretta.
Quindi, rispondendo alla tua domanda, per me il dialogo e il confronto con compagne e allenatore su una scala da 1 a 10 è importante 9. Ovviamente non è tutto, ma è molto importante. Ciò che complica maggiormente in questo senso è che ogni anno viene fatta una scrematura, gente che va e gente che viene, nuove persone; quindi, è difficile in un anno poter ricostruire uno spogliatoio. Come si può ben intuire, meno calciatrici vengono cambiate, mantenendo il nocciolo del gruppo, tanto più facile ogni stagione è avere quel qualcosa in più, poiché non parti dall’inizio. Così è anche con il mister.
È fondamentale, per ciascun componente, giocare per la propria compagna. Quando scendo in campo, gioco per la mia compagna: sia quella titolare che, soprattutto, per quella seduta in panchina o in tribuna perché non può dare il suo contributo. Noi abbiamo la possibilità di convocare solo venti persone a partita. Dunque se in rosa siamo di più, qualcuna è costretta ad andare in tribuna.
Da Capitano, vorrei che tutta la mia squadra giocasse l’una per l’altra ma anche per il mister: quando tu giochi per il tuo allenatore, o la tua allenatrice, penso che hai raggiunto il massimo del rapporto cui puoi auspicare. Nel calcio femminile è molto importante dialogare, essere presenti, essere unite: il gruppo è l’anima della squadra.
4) Che importanza ha, secondo la tua esperienza, la “parola spesa” in una trattativa di calciomercato?
Personalmente, ho cambiato solo due squadre nonostante giochi da venticinque anni. Perciò mi reputo molto fortunata anche se ciò, perlopiù, è imputabile a una scelta di vita.
In generale, dipende un po’ da persona a persona. Sicuramente è da un paio d’anni che si sono inseriti, come figura professionale, i procuratori: quindi, molte volte, il dialogo avviene fra questi ultimi e il direttore sportivo della squadra. Nel mio caso, invece, non ho un procuratore, dunque se devo parlare con qualcuno parlo io.
Per quanto mi riguarda, l’accordo verbale vale molto di più della firma sul contratto.
5) Un’ultima domanda. L’incitamento e i cori dei tifosi come incidono, in concreto, sull’andamento della gara e sulla “testa” delle calciatrici?
Sicuramente, il tifo allo stadio, se positivo (nel calcio femminile è comunque difficile trovare episodi violenti), è molto bello. Noi siamo partite giocando nella “vecchia Serie A”, dove il pubblico si riduceva ai genitori o comunque a poche persone: si arrivava al massimo a 100/200 spettatori negli incontri più importanti. Adesso vedere stadi pieni e il tifo del pubblico è un grandissimo sprono.
In concreto, quando stai soffrendo e magari devi portare a casa il risultato, su una scala da 1 a 10 il tifo incide un bel 6,5. Il pubblico, in questi casi, è un po’ come se fosse il dodicesimo uomo. Indubbiamente, è bello vedere come la gente, magari un po’ scettica verso il calcio femminile, una volta allo stadio si ricreda, definendo questo sport una piacevole sorpresa. Allora ti appassioni e diventi tifoso. In quest’ottica, spesso invito persone e conoscenti a venire al campo, lanciandogli il monito “guarda che poi t’innamori”. Alla fine molti mi hanno dato ragione.
Vedere molto pubblico in tribuna, per non giocatrici è sicuramente una soddisfazione; è bello poiché ti senti parte di un’unica cosa. È un po’ come se non ci fosse distinzione tra tifoso e calciatrice.