Declino

19° settimana: BEARD/BARBA

Come ogni figlia anch’io pensavo fossi immortale. Mi sbagliavo.

Era un giugno atipico quello: faceva freddo. Atterrai a Milano indossando, oltre allo spolverino, una ghirlanda d’alloro. Avrebbe dovuto essere un giorno di festa: io e la squadra avevamo vinto i campionati italiani.

Il breve volo di ritorno lo passai a fantasticare sull’entrata trionfale che, di lì a poco, si sarebbe consumata.

Ma, talvolta, i sogni rimangono tali. Soprattutto quelli assaporati all’altezza del cielo.

E così è stato anche il mio.

Sbarcai, attesi la valigia e finalmente attraversai la porta scorrevole che mi separava da te. Non vidi nessuno.

Non mi allarmai. Probabilmente, stavi consumando una sigaretta in compagnia del mio fidanzato di allora; forse poco meno di un figlio, per te.

Aspettai. Lo feci col sorriso sulle labbra.

Sorriso che si spense appena vidi il volto del mio ragazzo. Travisato. Cereo.

Era successo qualcosa; ne ero certa. Ma tu dov’eri?

Capii solo quando lui mi invitò a seguirlo. Direzione: ambulatorio dell’aeroporto di Linate.

Entrai. Mi stavano attendendo come la manna dal cielo. Dopotutto, ero l’unico familiare presente. Almeno sulla carta.

Una crisi epilettica, mi dissero.

Provai a mettere un po’ d’ordine, ma la mia mente non ne voleva sapere. Avevo sentito parlare di crisi epilettiche in televisione, credo; comunque niente che mi toccasse.

Rimasi scioccata quando ti scorsi adagiato sulla barella; pensavo di vederti uscire sulle tue gambe.

Ingenua.

Mi restò impresso il tuo viso: terrorizzato, sperso.

Non so per quale motivo, il suo pallore metteva in risalto ancor di più la tua curata BARBA, che nella mia mente aveva assunto le sembianze di tanti aghi. Probabilmente, il contesto medico aveva giocato un brutto scherzo.

Percepivo, quindi, la puntura di quelli spilli sulle guance. La stessa sensazione sperimentata da bambina quando ti divertivi a strofinare la tua BARBA sulle mie paffute gote. Allora per scherzo.

Scherzo a cui, dopo quel maledetto giorno, non stavo più al gioco. Non mi faceva più ridere. Nemmeno quando era il mio ex fidanzato a farlo: lo pregavo di tagliarsi quella BARBA o, quantomeno, di limitarne il contatto con la mia pelle.

Mi ricordava te.

E il tuo declino…

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Pubblicato da Silvia Schenatti

Silvia Schenatti (Lecco, 1992) è cresciuta tra il lecchese e la Valmalenco. Consegue il diploma al Liceo socio-psico-pedagogico di Monticello Brianza e si laurea, con lode, in Giurisprudenza all’Università degli Studi di Milano-Bicocca, discutendo una tesi in diritto penale. Terminati il tirocinio e la pratica forense, nel 2021 ottiene il titolo di Avvocato. Da sempre amante della scrittura, “L’inferno dentro i suoi occhi” è la sua opera prima.