14° settimana: TEARS/LACRIME
Sono solo, al buio della mia cameretta. Poco distante da me sento il respiro regolare di Camilla: lei, al contrario mio, non soffre d’insonnia. Dopotutto, negli occhi, non conserva le immagini di quegli istanti.
Sono contento per lei. Non se lo meriterebbe, è una bambina così dolce!
Proprio come Giacomo e Anita, i suoi genitori. La mia nuova famiglia. Gli unici ad avermi accolto in questa città straniera, donandomi amore e rispetto proprio perché ho perso tutto.
Ho perso te, mamma, e questo non riesco a perdonarmelo.
So che non è colpa mia. Ma perché te negli abissi e io su questa Terra?
Ogni volta che richiamo gli ultimi tuoi istanti di vita, le LACRIME mi divorano l’anima.
Ero solo un bambino. Proprio come ora!
***
Avevamo da poco salutato il molo di Jarjis, lasciandoci alle spalle la nostra casa, i nostri affetti. La Tunisia.
Eravamo partiti solo io e te, verso una patria sconosciuta: l’Italia. La nostra fortuna, la nostra El Dorado.
Ho pochi ricordi degli attimi precedenti. Però una cosa la conservo bene, ancora intatta nella mia mente: il fetore. Su quell’imbarcazione si respirava un’aria irrespirabile, forse nemmeno sufficiente a sfamare i polmoni di quell’ammasso di gente che, come noi, si stava affidando a un occasionale Caronte il quale, proprio come quello dantesco, ci stava traghettando all’Inferno, anziché in Paradiso.
Un Inferno fatto di acqua, anche se io mi aspettavo il fuoco.
Non ho memoria di come sia accaduto. So solo che io mi sono trovato nell’immensità ghiacciata, smarrito. Ho afferrato una mano pensando fosse la tua. Solo quando mi hanno adagiato su quel che era rimasto del gommone me ne sono reso conto: il mio salvatore non eri tu, ma un uomo. Un perfetto sconosciuto… che poi il tempo mi avrebbe fatto odiare: perché mi aveva strappato a te? Perché mi aveva impedito di sprofondare con te nell’abisso?
Ma, poi, tu dov’eri?
Mi guardavo intorno. Non ti trovavo. Ecco allora la speranza: magari, come me, eri riuscita a risalire su quella barca.
Solo quando i miei occhi si orientarono al buio, vidi quel particolare. Il foulard rosso galleggiava soave sulla cresta marina, mentre tu, vicino, annaspavi fra la vita e la morte.
Sulle mie guance, allora, le LACRIME si mischiavano alla salsedine. E mi odiavo. Mi odiavo perché, proprio con quelle mie LACRIME, avrei contribuito ad accrescere quell’enorme distesa d’acqua che ti stava portando via da me. Quel mare, irrorato dal pianto dei migranti.
Poi, credo di essere svenuto.
***
Adesso cerco di dormire, mamma. Domani ho scuola.
Tu aspettami lì.
Ti sto venendo a trovare. Nei sogni.