
2° parola: COFFEE/CAFFE’
La ricamata chicchera in rame, contenente un liquido che ricorda vagamente il CAFFE’, mi suggerisce un paese straniero. Anche gli odori per le strade affollate si distinguono nettamente da quelli a cui sono abituata.
Credo di essere finita in un posto lontano, a migliaia di chilometri di distanza dalla bella Italia. Forse in una città dell’altro mondo, dove i segni della guerra si stagliano indelebili sui muri di case e palazzi, deformandoli come fossero reduci dalla battaglia.
Girovagando per le animate vie, mi capita d’inciampare in un avvallamento del marciapiede. Un cratere scavato da una granata, caduta implacabile dal cielo; la Rosa di Sarajevo, colorata di rosso a testimoniare il sangue versato dai troppi defunti.

Sento una lacrima solleticarmi la guancia, ho bisogno di sciacquarmi il viso, di ripulirlo dallo strato di angoscia. Scivolo in bagno, apro l’acqua, ma dal rubinetto non scende una goccia. E non ne scenderà per giorni, mi avvisa l’oste: è così, semplici imprevisti della vita.
Stringo gli occhi a due piccole fessure. Non capisco, mi sembra di essere stata catapultata indietro anni luce. Ma non vedo nessuna macchina del tempo.
Solo una bellissima ragazza davanti a me. Ha un sorriso dolce; lo sguardo intenso di chi ne ha viste tante. A occhio e croce, deve avere pochi anni più di me. Mi prende per mano, accompagnandomi orgogliosa in un tour della sua città, ancora non del tutto ripresasi dai venti dell’odio.
Ci fermiamo davanti a prati sterminati, unico sostentamento negli anni di assedio. Conosce uno a uno i fiori di cui si è cibata nella sua infanzia. I dolci pendii montuosi nascondono ancora trappole, bombe inesplose, acquattate sornione.
Pian piano mi adeguo all’asprezza dei Balcani e al dolore della loro gente, popolo alla soglia di casa.
P.S. Questo breve racconto è ispirato a un viaggio da me effettuato, qualche anno fa, a Sarajevo.