L’odierna puntata della rubrica “Parola all’esperto” è per me una puntata speciale. Continuando con il filo rosso dedicato all’approfondimento della guerra in ex Jugoslavia, ho avuto il piacere e l’onore di porre alcune domande sul tema ad Amina. Amina è una ragazza bosniaca che conobbi durante il mio viaggio a Sarajevo, nel 2017: lei ci fece da guida e fu preziosa fonte di informazioni e ricordi di quella tragica guerra, vissuta da lei in prima persona, ancora bambina.
Dato il suo ottimo italiano, non ho apportato alcuna modifica alle sue risposte, volendo lasciar trasparire il pensiero e le emozioni autentiche narrate da Amina.

1) Chi è Amina?
Amina è laureata in studi romani (lingua e letteratura francese e italiana). Amante della vita, dei gatti, delle persone e dell’arte.

2) Quanti anni avevi quando è iniziato l’assedio di Sarajevo? Qual è il tuo primo ricordo?
Sono nata nella parte settentrionale della Bosnia Erzegovina e ho seguito l’assedio di Sarajevo al telegiornale. Ero una rifugiata e ho trascorso 3 anni in esilio. Quando la mia città, Ključ, fu liberata, sono tornata con la mia mamma. Quando è iniziato la guerra, il mio primo ricordo è di una lunga camminata, o meglio dire, una discesa dalla montagna Vlašić, in una lunga colonna con i soldati che tenevano i fucili puntati contro di noi.
3) Nel lungo periodo dell’assedio, com’era la tua daily routine?
La routine quotidiana della ragazza durante la guerra era nascondersi in cantina o in una zona della casa dove i bossoli non potevano colpirci. Andavo a scuola sotto le granate. Ciò che è ancora vivido nella mia mente oggi è il ricordo della grande carestia che colpì il periodo bellico. Un tempo mangiavamo lenticchie e tutto era fatto con le lenticchie, perfino il pane era verde. E una volta ho mangiato fiori di primula.
4) Quanto è stato importante, per voi bambini dell’epoca, continuare a ricevere un’istruzione scolastica?
Non tutti hanno avuto la possibilità di andare a scuola, alcune scuole sono state distrutte e altre sono state utilizzate come campi. Ho avuto la fortuna di andare a scuola in quel periodo, anche se la situazione era critica e molto pericolosa.
5) Come vivevate, voi bambini, la guerra? I contrasti razziali c’erano anche fra voi più piccoli o erano esclusivamente fra adulti?
Noi bambini coglievamo ogni occasione per giocare. In assenza di giocattoli, prendevamo parti di granate o raccoglievamo proiettili.
6) Cosa mangiavi durante l’assedio?
Durante la guerra mangiavo molto poco e la fame è un ricordo che ricordo ancora oggi. Il pane era raro e non ho mai assaggiato la frutta. Mangiavamo soprattutto lenticchie e fagioli. Un tempo ricevevamo cibo in scatola e arachidi dagli aiuti esteri.
7) In tempo di guerra, spesso, si sviluppa molta solidarietà tra la popolazione. C’è un episodio in cui hai dato o ricevuto aiuto che porti nel cuore?
C’era davvero tanta solidarietà. Per un po’ di tempo io e la mamma siamo rimasti nascosti in un rifugio antiatomico, perché lei lavorava come giornalista e il suo collega sapeva come prendersi cura di me quando la mamma era via. Le persone condividevano il cibo perché la sofferenza era condivisa.
8) Gli adulti come spiegavano la guerra a voi bambini?
Onestamente, la guerra non ci è mai stata spiegata durante la sua durata. Anche gli adulti erano confusi, perché fino ad allora avevano vissuto in pace e avevano condiviso tutto con i loro vicini. E poi è spuntato il giorno e un vicino ha ucciso il figlio e la famiglia di un altro vicino. Tutto quello che ho imparato sulla guerra è quando è finita.
9) Nel 1995, dopo oltre tre anni, si è finalmente concluso l’assedio di Sarajevo. Paradossalmente, è stato difficile tornare alla normalità? Perché?
Quando sei in guerra, hai fame e ti svegli con il rumore dei bombardamenti, tutto ciò che desideri è che tutto finisca. Tre anni di orrore sono stati troppi e la prima mattina di pace è stata irreale, perché pensavo che avrebbero iniziato a girare il giorno dopo.
10) Com’è, ad oggi, la vita a Sarajevo? A tuo parere, si è raggiunto il perdono o quantomeno una convivenza pacifica fra le diverse etnie (bosgnacchi, serbi e croati)?
La vita a Sarajevo continuava, perché bisognava vivere. Ciò che è importante sottolineare è che la retorica nazionalista si limita agli ambienti politici, mentre la popolazione si è concentrata su questioni esistenziali. Perdonare e dimenticare è difficile, visti tutti i ricordi vividi, ma la vita è andata avanti. Non c’è tensione tra la popolazione.

11) C’è qualche altro ricordo o pensiero che vuoi raccontare?
Per quanto riguarda i miei ricordi, ho visto al telegiornale la strage del mercato di Markale e le immagini orribili sono rimaste impresse nella mia mente decenni dopo. Quando sono arrivata a Sarajevo per studiare e poi per vivere lì, per 7 anni non sono riuscita a passare davanti al mercato a causa della tristezza che sentivo, e ancora oggi provo quel dolore. Il ricordo del ritorno nella mia città di Ključ è sempre legato alla grande sepoltura di oltre 200 persone assassinate in un villaggio, trovate in una fossa comune; mia madre lavorava allo scavo delle ossa e la sua giacca rossa odorava di ossa.
Le parole di Amina mi hanno riportata, per un attimo, a quei giorni trascorsi a Sarajevo, indescrivibili per chi non c’è mai stato. La cosa che mi colpì maggiormente è stata il fatto di aver sentito la narrazione di quei tremendi fatti dalla voce di una ragazza poco più grande di me… eppure testimone di un mondo così lontano dal mio!
L’augurio è che questa testimonianza possa far riflettere ognuno di voi…
